La calce, molto utilizzata nei secoli -già presso la civiltà egizia e poi presso quella greca e romana- era stata soppiantata e praticamente caduta in disuso negli anni '50 con l'avvento della petrolchimica che aveva generato nuovi polimeri di sintese e additivi sia per le pitture che per le malte cementizie.
Storicamente va alla civiltà romana il merito di aver studiato a fondo la tecnologia della calce e di averla utilizzata mettendo in luce proprietà e pregi delle malte di calce, sia di quelle aeree (grasselli di calce) che di quelle idrauliche (a base di calce silicea). Poiché la calce silicea era reperibile solo nella zona dei Pirenei, i romani affinarono la loro tecnica ottenendo calci idrauliche, mescolando al grassello di calce l'acqua con aggiunta di pozzolana o coccio frantumato: ottennero in questo modo delle malte che indurrivano a contatto con l'acqua, impermeabilizzandosi. L'impiego delle malte aeree permetteva tra l'altro di abbattere le murature e di riutilizzare i mattoni, una volta triturati, come inerti per la composizione delle malte idrauliche, ottimizzando la lavorazione del cocciopesto con cui furono pavimentate cisterne, copertine dei muri e tutte le superfici per le quali fosse necessaria una impermeabilizzazione.
La calce ha riacquistato oggi una nuova nobiltà ed è ampiamente impiegata nell'architettura naturale e in bioedilizia.
A differenza dei materiali cementizi additivati, la calce dimostra una notevole capacità di resistere al tempo senza disgregarsi, ed offre ottime possibilità di recupero e reimpiego dei materiali, in linea con pratiche di sostenibilità, risparmio economico ed energetico e salvaguardia ambientale. Le finiture a calce hanno il pregio di poter essere sempre recuperate stendendovi sopra una mano di latte di calce che va a reidratare la calce presente negli intonaci, saturando eventuali crepe ed eliminando i segni del tempo.